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Asimov, la crisi ed il pensiero

Immagine di https://www.flickr.com/photos/uflinks

Da Isaac Asimov, “Cronache della Galassia”, 1951

Hari Seldon: Io non sostengo che riusciremo a impedire la caduta. Ma non è ancora troppo tardi per accorciare l’interregno che seguirà. È possibile, signori, ridurre la durata dell’anarchia a un solo millennio, se si permette al nostro gruppo di continuare la sua opera. Siamo in un momento delicato della storia. L’enorme massa degli eventi che incombe sulla civiltà deve essere deviata. Non sarà possibile fare molto ma forse lo sforzo basterà a eliminare ventinovemila anni di miseria dalla storia dell’umanità.

Avvocato della Commissione: Come pensate di riuscirci, dottor Seldon?

Hari Seldon: Conservando il sapere dell’umanità. La somma delle conoscenze umane supera le capacità di ogni singolo individuo; e anche di migliaia di individui. Con la distruzione della nostra costruzione sociale, la scienza verrà spezzettata in milioni di parti. Gli individui conosceranno poco meno che una sfaccettatura di tutto ciò che c’è da sapere. Da soli saranno indifesi e inutili. Tali frammenti insignificanti di conoscenza non saranno trasmessi e si disperderanno attraverso le generazioni. Se però prepariamo un gigantesco sommario di tutto il sapere, esso non andrà mai perduto. Le generazioni successive costruiranno sopra queste basi senza doverle riscoprire. Un millennio farà il lavoro di trentamila anni.

Nelle prime pagine di “Cronache della Galassia” Hari Seldon, primo tra i vari protagonisti, manovra in modo tale da farsi esiliare su un pianeta – Terminus – lontanissimo da Trantor, capitale dell’impero galattico in decadenza, assieme a una piccola comunità di persone. Solo così potranno  salvare l’Impero da una crisi di trentamila anni, riducendola a “soltanto” mille.

Asimov è stato anticipatore di alcune delle invenzioni recenti, dal tablet al riconoscimento biometrico. Ma forse ha “visto” anche la possibilità di quella che oggi appare come una crisi a diversi livelli: non solo economico, ma culturale, valoriale, etico. Molti parlano di “Crisi antropologica”.

Come i personaggi delle “Cronache” dovremmo forse “esiliarci”, isolarci dal mondo, per conservare il sapere, o i valori in cui crediamo (o, come nelle “Cronache della Galassia”, per iniziare una comunità che ricostruirà la società su basi diverse)?

C’è chi lo pensa, come chi aderisce all’“Opzione Benedetto” (“The Benedict Option”): l’idea è di costruire (come Benedetto, nel VI secolo, aveva fondato i primi suoi monasteri) delle comunità, in cui la vita morale possa essere sostenuta, nei nuovi “Secoli Bui”.

Rod Dreher, ideatore dell'”Opzione Benedetto”, in un articolo del 6 ottobre 2015:

L’”Opzione Benedetto” si riferisce a quei cristiani dell’Occidente contemporaneo che cessano di identificare la continuazione della civiltà e della comunità morale con il mantenimento dell’impero americano, e che quindi desiderano costruire forme locali di comunità come luoghi della resistenza cristiana contro ciò che l’impero rappresenta.

Oggi – tuttavia – non solo appare poco fattibile creare comunità isolate, in un mondo (almeno in Occidente) densamente abitato, interconnesso e dalle componenti fortemente interdipendenti. Anche tra chi sostiene l'”Opzione Benedetto” ci sono, al riguardo, pareri diversi.

Ma non usciamo da una crisi (qualsiasi essa sia) se non rendendoci consapevoli di farne parte, e creando almeno un “esilio”, o meglio uno spazio – interiore e personale – e un “esilio”, o meglio un tempo – con altri – nei quali possiamo “staccarci” o “separarci” dalla tempesta mediatica, dalla lista degli impegni, dalla necessità di apparire, dal flusso scomposto dei “post”, dal pensiero unico o unificato, dall’affanno del dover fare, dall’inseguimento della tecnologia, dalla noia delle banalità e delle idee precotte e preconcette; uno spazio e un tempo in cui “mollare gli ormeggi”, in cui “lasciare” le difese, in cui “conoscersi e riconoscersi”, un tempo di pace dove il pensiero e la parola possano aggregarsi, consolidarsi, creare senso.

La vera regola di Benedetto (di solito citata come “ora et labora”, prega e lavora), includeva “ora, labora, lege”, prega, lavora e leggi, come ricordava il papa Benedetto XVI, parlando in Piazza Miranda a Cassino il 24 maggio 2009:

“Cari fratelli e sorelle, sentiamo echeggiare in questa nostra celebrazione l’appello di san Benedetto a mantenere il cuore fisso sul Cristo, a nulla anteporre a Lui. Questo non ci distrae, al contrario ci spinge ancor più ad impegnarci nel costruire una società dove la solidarietà sia espressa da segni concreti. Ma come? La spiritualità benedettina, a voi ben nota, propone un programma evangelico sintetizzato nel motto: ora et labora et lege, la preghiera, il lavoro, la cultura.”

Dice Romano Guardini nell’ultima delle “Lettere dal lago di Como” (1925):

“Si ha l’impressione che si sia aperta una dimensione interiore che attiri a sé l’uomo. C’è una nostalgia che ci sospinge verso l’interiore, verso la quiete; una volontà di trarsi dalla mischia e di entrare nel raccoglimento. Ma in un raccoglimento che non neghi l’essere e l’agire della vita che ci attornia, ma sia nel cuore di questa. Noi intuiamo delle possibilità di concentrarci, di interiorizzarci nel quotidiano, nella vita tale e quale è oggi”.

Non vedo contrapposizione tra spazio interiore e presenza, tra pensiero e impegno. Ma vedo urgente e indispensabile trovare una quiete, un raccoglimento ed una modalità di dialogo che consentano al pensiero (e, per chi crede, anche alla preghiera) la possibilità di esprimersi, di crescere e aprire la strada a una nuova umanità.

Post Scriptum

Oggi siamo stretti (e costretti) tra una tecnica e una comunicazione sovrabbondanti, che (in un’illusione liberatoria) saturano e soddisfano ogni bisogno, mortificando quello di cercare (e creare) il nostro desiderio, e la nostra espressione, da un lato; e dall’altro da un pensiero anch’esso illusoriamente libero, ma uniforme, «politicamente corretto», conformista, globalizzato.
Il Movimento dei Focolari – che indirettamente ha dato il nome a questo sito – sembra oggi ingessato dal bisogno di «salvare l’unità» all’interno (con l’allontanamento del dissenso, la rimozione del contrasto, il conformismo delle formule, la censura delle domande) e dalla necessità di presentare all’esterno (tramite eventi, stampa e nuovi media, questi abbracciati spesso con ingenuo entusiasmo) un’immagine di sé attraente, «accattivante», adeguata, pacificante, a rischio di perdere il suo tratto caratteristico: la “scelta di Dio come ideale“.
Ecco il motivo di pubblicare qui, e non altrove, queste mie considerazioni. È Terminus, non Trantor, il luogo del possibile cambiamento.

Pubblicato il 15 Gennaio 2017 da ciric • Questa voce è stata pubblicata in Cristianesimo, Dialogo e contrassegnata con Asimov, Crisi, dialogo, Guardini, Movimento, pensiero, Ratzinger. Contrassegna il permalink.

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