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Asimov, la crisi ed il pensiero
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Da Isaac Asimov, “Cronache della Galassia”, 1951
Hari Seldon: Io non sostengo che riusciremo a impedire la caduta. Ma non è ancora troppo tardi per accorciare l’interregno che seguirà. È possibile, signori, ridurre la durata dell’anarchia a un solo millennio, se si permette al nostro gruppo di continuare la sua opera. Siamo in un momento delicato della storia. L’enorme massa degli eventi che incombe sulla civiltà deve essere deviata. Non sarà possibile fare molto ma forse lo sforzo basterà a eliminare ventinovemila anni di miseria dalla storia dell’umanità.
Avvocato della Commissione: Come pensate di riuscirci, dottor Seldon?
Hari Seldon: Conservando il sapere dell’umanità. La somma delle conoscenze umane supera le capacità di ogni singolo individuo; e anche di migliaia di individui. Con la distruzione della nostra costruzione sociale, la scienza verrà spezzettata in milioni di parti. Gli individui conosceranno poco meno che una sfaccettatura di tutto ciò che c’è da sapere. Da soli saranno indifesi e inutili. Tali frammenti insignificanti di conoscenza non saranno trasmessi e si disperderanno attraverso le generazioni. Se però prepariamo un gigantesco sommario di tutto il sapere, esso non andrà mai perduto. Le generazioni successive costruiranno sopra queste basi senza doverle riscoprire. Un millennio farà il lavoro di trentamila anni.
L’angoscia di una assenza – Sabato Santo
Riporto da una di tre meditazioni di Joseph Ratzinger sul Sabato Santo:
Sabato santo: giorno della sepoltura di Dio; non è questo in maniera impressionante il nostro giorno? Non comincia il nostro secolo a essere un grande Sabato santo, giorno dell’assenza di Dio, nel quale anche i discepoli hanno un vuoto agghiacciante nel cuore che si allarga sempre di più, e per questo motivo si preparano pieni di vergogna e angoscia al ritorno a casa e si avviano cupi e distrutti nella loro disperazione verso Emmaus, non accorgendosi affatto che colui che era creduto morto è in mezzo a loro?
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Il venerdì santo della storia
Riporto qui alcuni passi di un testo di Joseph Ratzinger, scritto nel 1973: Il Venerdì Santo della storia. Suggerisco di leggerlo per intero.
…nell’attuale momento storico è come se tutti noi fossimo posti letteralmente in quel punto della passione di Gesù in cui essa diviene grido d’aiuto al Padre: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.
Cosa si può dire? Si tratta al fondo di una domanda che non è possibile dominare con parole e argomentazioni, perché arriva a una profondità tale che la pura razionalità e la parola che ne deriva non sono in grado di misurare: il fallimento degli amici di Giobbe è l’ineludibile destino di tutti quelli che pensano di poter risolvere la questione, in modo positivo o negativo che sia, con abili ragionamenti e parole. È una domanda che può solo essere vissuta, patita: con colui e presso colui che sino alla fine l’ha patita per tutti noi e con tutti noi.
Principi non negoziabili
Inserisco qui alcuni link relativi all’argomento dei principi non negoziabili.
Princìpi non negoziabili, perché è giusto parlarne – di Stefano Fontana – 20-03-2014
Se anche nella Chiesa i principi sono negoziabili – di Stefano Fontana – 21-04-2015 (suggerito da P.V.)
Discorso di Benedetto XVI – 30 marzo 2006
Nota circa l’impegno dei cattolici nella vita politica – Joseph Ratzinger 24 novembre 2002
Joseph Ratzinger sul dialogo
Un testo di Joseph Ratzinger, del 1968, rimane attualissimo: “Introduzione al Cristianesimo”.
Di qui, sul dialogo, ho tratto questo passaggio:
Il dialogo non s’instaura, però, automaticamente, non appena gli uomini discorrono su qualcosa. Il colloquio degli uomini perviene, invece, alla sua vera natura soltanto allorché essi non cercano di esporre qualcosa, ma tentano di dire se stessi, quando il dialogo diventa comunicazione. Là, però, dove questo accade, là dove l’uomo esprime se stesso, ivi si parla in certo qual modo anche di Dio, che è il vero e proprio tema delle dispute degli uomini fra di loro sin dai primordi della loro storia. Basta che l’uomo cominci a parlare di sé, perché assieme al lógos dell’essere umano subentri nelle parole del discorso umano anche il Lógos di tutto l’essere. Perciò la testimonianza di Dio ammutolisce là dove il linguaggio si riduce a mera tecnica impiegata per comunicare ‘qualcosa’. Nel calcolo logistico Dio non compare. La difficoltà che noi oggi proviamo a parlare di Dio proviene forse dal fatto che il nostro linguaggio tende sempre più a trasformarsi in puro calcolo, assumendo sempre più la fisionomia d’una mera comunicazione tecnica, mentre è sempre meno, nel lógos, contatto con l’essere comune, tramite cui, o per vaga intuizione o in maniera consapevole, si viene in contatto con il fondamento di tutte le cose.
Due spunti più uno – Bocca di Magra
Qualcuno mi ha chiesto di riportare quanto ho detto a Bocca di Magra il 5 marzo, al raduno di volontarie e volontari, in due brevi interventi.
Questo è il primo
A proposito del discorso di inizio anno di Maria Voce suggerisco due spunti, contenuti in due parole. L’una è «dialogo», citata da diverse delle persone che mi hanno preceduto. L’altra è «verità», citata da nessuno.
Verità
A proposito di «verità», ricordo una frase del Cardinale Biffi:
Per poter dialogare con uno, io devo prima di tutto essere me stesso. La premessa necessaria del dialogo è la propria identità affermata. Se noi aboliamo ogni identità e ci sciogliamo nella mentalità generale, non c’è dialogo.
Nel dialogo dunque, come Movimento ma anche come cristiani, manifestiamo nella verità la nostra identità, o scambiamo il «farci uno» con il ritirarci, con l’abdicare ai nostri valori, ai nostri simboli, alle nostre tradizioni, per paura di offendere gli altri?
Dialogo
Mentre porta avanti i cinque dialoghi, il Movimento mantiene un proprio dialogo interno? Per essere precisi, siamo sicuri che sia previsto – nella natura e struttura del Movimento – un dialogo interno? Incontri frontali, incontri sempre con un «perno», incontri cui si arriva senza essere stati informati sul programma (quindi impreparati al dialogo), estrema difficoltà ad accettare pareri in contrasto con quello proposto dai vertici (per cui si alzano immediate difese, si bloccano gli interventi, fino ad arrivare all’espulsione di chi si oppone) sembrano dire il contrario. Certamente è difficile pensare di dialogare con altri, se non c’è prima un dialogo tra noi.
La risposta non è ovvia. Un articolo su Nuova Umanità potrebbe far pensare a un’interpretazione diversa: comunione all’interno, dialogo verso l’esterno. Ma, una comunione senza dialogo, può aver senso?
Questo è il secondo
La seconda osservazione che ho fatto a Bocca di Magra il 5 marzo riguardava le presentazione della «zona Italia», da parte di Antonio, per la parte relativa alla comunicazione. Quando si parla di comunicazione, è facile pensare prima alla tecnica, ai modi, alle strategie, che alle persone.
Per cui ho voluto citare una (famosa) frase di Freeman Dyson (fisico e matematico), che vi riporto qui per intero:
Viviamo in un mondo in cui l’informazione è potenzialmente illimitata. L’informazione è a basso costo, ma il significato è costoso. E dov’è il significato? Solo gli esseri umani possono dirvi dove esso sia. Noi estraiamo il significato dalle nostre menti e dalle nostre vite.
Da cui, ancora una volta, la necessità del dialogo tra persone, dove la tecnica può essere supporto, mai il fine.